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Arabi Visibili: il blog di Paola Caridi |
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Diario di una mediterranea dagli occhi azzurri e dei suoi incontri nei suq, tra web e limonate alla menta. |
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Gli Arabi Invisibili in piazza! |
27 gennaio
2011 |


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Il terzo giorno della rivolta del Cairo dice che nulla sarà uguale a prima, dopo il 25 gennaio e l'inizio della rivolta egiziana. La borsa sta calando paurosamente, ci sono circa mille arresti, i ragazzi sono stati portati in tribunale per essere processati per direttissima. E per il 27 gennaio, venerdì, si prevedono grandi manifestazioni. La richiesta, che gira sulla rete, è per un milione di persone in piazza all'una di venerdì, dopo la grande preghiera.
Guardo ciò che succede attraverso il mio fedele computer, e vedo i miei Arabi Invisibili in piazza. La teoria di ragazzi, blogger, disoccupati, operai, attori, giornalisti, imprenditori, ragazzi disperati, ragazzi espulsi dallo sviluppo... Invisibili, ai turisti che vanno a Sharm così come agli impenetrabili ministeri degli esteri occidentali che hanno sostenuto le autocrazie arabe contro il pericolo islamista. Ora, sguarnite, guardano le piazze come se si fossero svegliati ora. Eppure, gli invisibili c'erano anche prima, ed erano invisibili solo perché non li avevamo voluti vedere.
In parallelo con quello che è successo in Tunisia, va in onda al Cairo, a Suez, a Mansoura un fenomeno che prima o poi dovremo studiare. La capacità di scendere in piazza nonostante non vi siano i sindacati, i partiti di massa…
L’opposizione politica egiziana è stata in questi ultimi anni decimata. I Fratelli Musulmani hanno subito costantemente retate di militanti e arresti di leader (soprattutto quelli pragmatici). I partiti rappresentati in parlamento sono spesso l’ombra di se stessi, organismi che non riescono ad avere contatto con il consenso reale. L’unico che gode ancora di un’organizzazione diffusa è lo NDP dei Mubarak. Il resto sembra magmatico: una tendenza, un sentimento, un flusso che si divide nei movimenti su Facebook (come il ’6 aprile’), nel cartello che appoggia Mohammed el Baradei, in ciò che resta del cartello d’opposizione di Kifaya. Divisi, eppure uniti dallo stesso desiderio, e soprattutto dalla stessa urgenza di riportare democrazia in Egitto. E’ anche di questo humus che si nutre la piazza, e il consenso di cui la piazza gode.
E’ un quadro decisamente diverso, questo, dal quadro che qualcuno sta raccontando in Italia. Il regime di Hosni Mubarak non è moderato da molto tempo, soprattutto con i cittadini di uno Stato che vorrebbero essere cittadini e che invece si sentono sudditi. Paradossalmente, questa realtà passa inosservata, come se non esistesse nelle università, nelle scuole, nelle strade, nei quartieri, negli ospedali del Cairo. La frattura tra il regime e i suoi cittadini è talmente ampio che rischia di non essere più sanabile. Anzi, non lo è più da tempo.
E allora pongo una domanda banale: cos’hanno di meno questi ragazzi del Cairo da quelli di Teheran? Hanno lo stesso valore, la stessa dignità, oppure valore e dignità si misurano a seconda della convenienza e delle alleanze delle nostre cancellerie? Mubarak non è Ahmadinejad, e dunque i ragazzi del Cairo non hanno lo stesso valore. Questo sembra l’assunto, leggendo alcune interpretazioni di quello che sta succedendo in Egitto. Meglio che l’Egitto non cada. Lo sento ripetere da tanti anni. Se avessimo pensato prima a rafforzare la democrazia egiziana, invece che puntellare un palazzo con seri problemi di stabilità strutturale, forse non dovremmo discutere ora cosa sia meglio per noi. E non per l’Egitto degli egiziani. Dei camerieri di Sharm, dei venditori di souvenir di Assuan, delle guide del Cairo…
Nulla sarà come prima. Nulla, in Egitto, sarà come prima del 25 gennaio. E se così è, come ben sa chi si occupa della regione, nulla sarà come prima in tutto il mondo arabo. Perché tutto, nel mondo arabo, comincia al Cairo. Se n’è accorto il Dipartimento di Stato americano? Ce ne siamo accorti noi?
Per seguire gli Arabi Invisibili, il blog di Paola Caridi è invisiblearabs.com |
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