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Il mestiere di scrivere: il blog di Cesare De Marchi |
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Il bisogno di scrivere e il suo senso; il senso e il bisogno di leggere. La letteratura è dentro o fuori la realtà? - Fatiche, fiducie e sconforti di chi scrive e di chi legge. |
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Le prese di posizione del romanziere |
10 agosto
2006 |


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Ho tardato a far seguire al mio primo blog questo secondo, e non perché fossi in vacanza. Ma anche gli scrittori che non intervengono nelle questioni di attualità sono spesso altrimenti occupati. Scrivevo l’ultima volta che i romanzieri «intervengono, si impegnano, parlano non interrogati delle faccende ritenute, a torto o a ragione, di dominio pubblico». È quasi una rivalsa, forse, perché si vedono sempre messi in discussione nella loro attività specifica, quella di raccontare. Non si sentono sempre rimproverare che la società attuale non ha bisogno di racconti, di storie? che ci sono problemi ben più urgenti e vitali? Messo così alle strette, lo scrittore reagisce pronunciandosi su questioni effettivamente molto lontane dalla sua professione: politica e bioetica, ecologia e sport, dove non mette il naso lo scrittore di storie? Indubbiamente ognuno può prendere posizione su qualunque cosa, e in certo senso è anzi chiamato a farlo. C’è però una differenza tra la manifestazione privata di un’opinione e l’intervento di un intellettuale, che diventa inevitabilmente pubblico. La persona che discute al bar con gli amici può anche dire sciocchezze, come càpita a chi parla di cose che ignora o conosce in modo insufficiente: ma la sua opinione non va al di là della ristretta cerchia delle persone che hanno la sventura di ascoltarlo. Uno scrittore che interviene dall’articolo di fondo di un quotidiano si rivolge a tutti, e si suppone che si senta autorizzato a farlo perché ha una conoscenza specifica di ciò di cui parla. Qui egli non fa più semplicemente uso di una generica libertà di parola, ma del diritto, e in certo senso del dovere, di mettere la propria preparazione professionale al servizio della comunità. Altro è se su un decreto economico del governo si pronuncia un premio Nobel per l’economia, altro se mi pronuncio io. Noi italiani, del resto, abbiamo fatto la sgradevole esperienza di un presidente del consiglio che in un paio di occasioni ha parlato pubblicamente di cose che ignorava (come la civiltà araba), rischiando di provocare brutte complicazioni diplomatiche. Qualche anno fa in una discussione su questo tema, Umberto Eco fece osservare polemicamente ad Antonio Tabucchi che in caso di incendio è più sicuro rivolgersi ai pompieri che agli intellettuali scrittori. E io stesso, confesso, se mi sento male preferisco andare dal medico: e non da un medico qualunque, ma possibilmente da uno che conosce a fondo la sua materia.
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