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Fenomeni e fonemi: il blog di Tommaso Giartosio |
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Esperimento segnino |
29 ottobre
2005 |


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Grazie a tutti per gli auguri. Perché il silenzio? Perché mi sono buscato un bel raffreddore (ancora in corso), e in più il lavoro a Segni (vedi ultimo post) ha avuto una coda soddisfacente ma impegnativa.
Diciamo intanto che Segni è una cittadina antica e scoscesa, grigia di quel grigio che associamo a Tozzi e Rosai, ma con un’intonazione più scura e papalina: è la città natale di diversi papi e cardinali, nonché di Giulio Andreotti e di Quinto Navarra, il cameriere di Mussolini. (Lo stemma comunale, qui a lato, rende bene l’atmosfera.) Il centro storico è punteggiato di “fraschette”, cantine−osteria ormai inserite perlopiù in case private. Durante la sagra del marrone (in cui, by the way, si ingurgitano quantità sproporzionate di marroni ma anche di salsicce e delle tagliatelle locali, che recano il leggiadro nome di “fregnaquanti” − c’è dietro una storia che ora non sto a dirvi) − dunque durante la sagra le fraschette vengono riaperte, e frequentate a orari prefissati da narratori orali di tutti i tipi: si va dall’anziano che mostra i suoi giocattoli d’epoca alle professoresse di italiano, dai giovani con chitarra e ampli al poeta orale (ne ho conosciuto uno straordinario, Umberto Tommaso Canali, e ho registrato qualcuna delle sue poesie). Noi scrittori dovevamo girellare per queste fraschette, placcare i narratori, farci raccontare tutto il raccontabile, poi rielaborare il tutto in un racconto scritto.
Per un paio di giorni ci siamo divertiti moltissimo − avevamo formato un gruppetto affiatato, io, Carola Susani, Elena Stancanelli, Tommaso Ottonieri, e dal nord Aldo Nove e Giorgio Falco, più un po’ di mariti e mogli e bimbe − ma al tempo stesso (ora posso confessarlo) ci è sembrato che nulla girasse per il verso giusto. Tra noi scrittori si formavano dei sub-gruppetti (dev’essere genetico) che andavano uniti a visitare questa o quella fraschetta: di conseguenza alcuni narratori finivano per incontrare tutti gli scrittori, e altri nessuno; qualcuno se ne andava borbottando, qualcuno saltava gli appuntamenti; salsicce e marroni dopo un po’ iniziavano a stufare; infine molti tra noi sentivano l’attrazione magnetico−letteraria della vicina Colleferro, che non ha i duemilacinquecento anni di storia di Segni, ma in compenso è una città industriale sorta dal nulla settanta anni fa con delle interessantissime storie di silicosi e fabbriche d’armi e gestione dei rifiuti... La straordinaria attenzione e gentilezza degli organizzatori − in primis il nostro Diaghilev, Lanfranco Caminiti − non ci impediva di percepire le avvisaglie di una catastrofe. Di cosa avremmo scritto esattamente? E come? E perché? Non lo sapevamo bene neanche noi.
Poi ci siamo rintanati in albergo per qualche ora, tra sabato sera e domenica mattina, e di domenica pomeriggio siamo andati a stampare i nostri scritti, e alle diciotto li abbiamo letti in pubblico nella biblioteca locale.
E, sorpresa, non erano niente male. La ricetta aveva funzionato. Avevamo fatto indigestione di Segni - perdonate l'inevitabile gioco di parole - per due giorni, sentendo ripetere alcune storie decine di volte, e raccogliendo un’infinità di metaforiche punte di freccia e monete antiche, e ora tutto questo era diventato Senso. Una specie di esperimento compiuto non sugli scimpanzé, ma sugli scrittori.
E la “coda soddisfacente ma impegnativa”? Non è quella degli scimpanzé. Il fatto è che, com’è ovvio, non ci si aspettava che scrivessimo un intero racconto in una sera più una mattina. (Quello di “E fu sera, e fu mattina” era un Altro, più in gamba.) Così ho passato l’intera settimana a completarlo, il mio racconto. Ora l’ho finito e lo metto a riposare; a fine novembre lo rileggo, correggo, consegno, e ve lo posto. E’ un racconto di paura. Di fantasmi.
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I vostri commenti
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Il commento di nheit |
2 novembre
2005 |


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L'aquilotto giace stecchito sullo stemma di Segni farcito di glassa in salmì con l'arancia a corona sul capo. È morto o fa il morto?
Di certo finge d'essere immobileinoffensivo ,tattica consolidata dai celebri conterranei papalinimilitaristi di Segni . Ma nei giorni di ottobre ascoltando il fermento dei segni di Segni ,l'aquilotto ha ripreso il suo libero volo nei cieli della Scrittura Poesia. E allora valeva davvero la pena aspettare il racconto resoconto dello scrittore Tommaso Giartosio che segue ll volo dell'aquila e ferma le storie vissute sognate le infinite metafore "unte di freccia monete antiche " nel Racconto che poi ci accompagna
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Il commento di Filter |
31 ottobre
2005 |


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Peccato che ci fai attendere per il racconto. Se è una storia di fantasmi, cascava bene ad Halloween, no?
P.S. quell'aquila non sembra felice di stare sullo stemma. |

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