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Fenomeni e fonemi: il blog di Tommaso Giartosio |
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Perché si dice "il libro 'Cuore'"? |
14 dicembre
2004 |


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E’ uscita in Francia la prima traduzione completa di “Cuore” di De Amicis. Si intitola, genialmente: “Le livre Coeur” (“Il libro Cuore").
In effetti noi italiani diciamo spessissimo: “il libro ‘Cuore’”. Perché? Non è una domanda così banale.
E’ un modo per evitare equivoci, per disambiguare? Immagino generazioni di maestrine (dalla penna rossa, ovviamente) che entrano in classe chiedendo agli alunni: “Avete ‘Cuore’?” Risate, battute. Però poi si fa lezione sul serio, e allora: “Prendete il libro ‘Cuore’”.
Sì, questo c’entra. E’ un libro che a lungo si è prestato ad essere confuso con una cosa. Un libro che esibiva il suo senso, il suo essere, in modo così ostentato da confondersi deliberatamente con esso. Leggere “Cuore” era un modo per leggere il cuore − il cuore sentimental−borghese dell’Italietta d’allora. Era essere quel sentimento, quel paese.
("Italietta" è un’espressione che non ha paralleli in altre lingue. Little Britain? Franchette? Deutschlandchen? Figurarsi! Casomai la Great Britain, la Grossdeutschland, tutt'al più la Douce France... In realtà l’Italia E' l’Italietta. Siamo italiettani, è la nostra forza. Lo capissimo, almeno, saremmo tutti più felici. Ma la condizione dell'italiettano - o del dovunquettano - è proprio quella di chi non si accetta per ciò che è: se lo facesse, cesserebbe di essere scisso.)
Però ci sono altri libri, oltre a quello di De Amicis, che incarnano il sentimento nazionale, che fanno da specchio a un’epoca e poi a un’identità nazionale. Don Abbondio è l’italiano eterno − vorrei subito aggiungere riserve e specificazioni, ma prendiamola così, è almeno una mezza verità. Ma allora perché non diciamo “il libro ‘I promessi sposi’”? C’è l’articolo. Ma non diciamo certo “il libro 'Decameron'”.
Credo che entri in gioco un elemento di confidenza. “Cuore” (come “Huckleberry Finn” o i libri di“Alice”) ha saputo guadagnarsi (per poi in parte perderlo, d'accordo) un posto speciale nella coscienza dei lettori, entrargli nel cuore. I romanzi di Manzoni e Svevo, e tanti altri, hanno sempre conservato un’aura di alta cultura. "Cuore" no.
Certo, c'è la “Commedia”. Lei sì che colpiva al cuore la nostra essenza. Ma ci spaventava che fosse così indiscutibilmente colta, highbrow: così l’abbiamo addirittura resa “divina”: per paura che si avvicinasse troppo. Oggi l’aggettivo di solito si omette, ma sotto sotto lo sentiamo ancora, un arto fantasma del poema dantesco. La divina Commedia, il libro Cuore. Quell’elemento divino che c’è in Dante occupa lo stesso posto di quell’elemento libresco che c’è in De Amicis.
Accanto alla confidenza, infatti − in un misto perverso che farebbe la gioia di Manganelli − c’è la deferenza. “Cuore” è un libro che si studia a scuola, che parla di scuola, vuole essere esemplare e edificante proprio nel momento in cui ti prende sottobraccio. (“Cuore” è Garrone. Il male di “Cuore” è l’angoscia di Garrone, anche lui con il suo arto fantasma − “il buon Garrone”.) Perciò la lingua media lo tratta con timoroso rispetto, lo incornicia. La frase “il libro ‘Cuore’” ti dice: ragazzo, questo è il libro per eccellenza, fatto apposta per te che non leggi altri libri. Viene da un altro mondo, ma è il solo a venire fin nel tuo mondo. E’ un marziano, ma è il tuo marziano.
Per questo c’è anche, complementare al rispetto, il disprezzo. Il profondo, segreto, vergognoso e sfacciato antiintellettualismo italiano. “Cuore” (come Garrone) fa anche pena, fa anche ridere. Come nel “Marziano a Roma” di Flaiano, che si conclude con i romani che prendono in giro il visitatore celeste: “A marzia’, facce ride!”
Solo un altro libro esibisce in modo così totale la pretesa di coincidere con se stesso. Vuole essere divino e libresco, e al tempo stesso assolutamente concreto e umano. E’ "il libro Libro", tà Biblìa, la Bibbia. Ma la cultura italiana − dirò la seconda mezza verità di oggi − questo libro l’ha lasciato in uno scantinato del Duomo di Trento.
−−−− “Le livre Coeur”: http://www.presses.ens.fr/cgi-bin/automaton2.pl
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I vostri commenti
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Il commento di gnognoragno |
23 dicembre
2004 |


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.....di chi non si accetta per ciò che è: se lo facesse, cesserebbe di essere scisso.....
in effetti le poche volte che mi sono accettato ho rischiato di scindermi, almeno di un po', però basta un po' di attenzione, misura nei movimenti e studio delle traiettorie per evitare scissioni e sofferenze. Asciandosi invece il discorso cambia, per il maggior peso dell'attrezzo la scissione è sempre in agguato, nascosta sopra la spalla, in forma di fumo sottile che attraversa la lama e la devia maligna. Io per evitare le scissioni uso l'accetta con giudizio (anche se poi basta un amen per scindere anche le parti più impensate), mentre l'ascia scinde più facile ma tante volte dove vuole lei.
bun natale
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